Per eseguire la sequenza lenta e continua dei movimenti nel
Tai Chi, la persona deve impiegare attenzione, concentrazione e memorizzazione. La continua ricerca di un’esecuzione migliore di questi movimenti porta la persona alla coscienza della sua postura globale con un migliore utilizzo delle capacità e delle prestazioni motorie; nell’anziano questo è molto importante, visto che dovrebbe tendere al movimento con “economia di energia”. Anche azioni comuni come il semplice alzarsi da una sedia e sedersi vengono così eseguite con più sicurezza e minor fatica. La lentezza dei movimenti e la continua alternanza del peso da un piede all’altro, dal tallone all’avampiede, dal bordo interno al bordo esterno, favoriscono un maggiore apprezzamento del peso del corpo, cosa cui l’anziano non è più abituato e per le condizioni articolari e per la mancanza di utilizzo degli organi sensori del carico. Questo è uno stimolo ad una migliore coordinazione motoria, che viene comunque sollecitata nel
Tai Chi dall’apprendimento di sequenze di movimenti che coinvolgono tutto il corpo e in particolar modo il bacino e il tronco.
Anziani La persona anziana spesso incontra difficoltà nel controllare contemporaneamente l’azione e la collocazione dei propri arti nello spazio: davanti e dietro a sé, a destra e a sinistra, in alto e in basso. Con la pratica del
Tai Chi si acquisisce una maggiore padronanza dello spazio e del rapporto del proprio corpo con lo spazio. L’atto respiratorio è la maggiore fonte di energia: nel
Tai Chi la persona impara ad ascoltare le sensazioni date dalle diverse fasi e dai diversi tipi di respirazione e questo porta a una migliore funzionalità respiratoria, che si traduce in maggiore apporto di ossigeno al cervello e all’apparato muscolare. Seguire il proprio ritmo respiratorio, sentire questa alternanza lenta e continua aiuta a rilassare sia la mente sia il corpo, soprattutto la muscolatura del collo e delle spalle, che di solito è tesissima in una fissità di “inspirazione antalgica”. Nel
Tai Chi il movimento non raggiunge mai l’estremo grado articolare, perciò svolge una mobilizzazione dolce a livello articolare.
Giovani
“
Suonare il liuto, accarezzate la coda del pavone, sostenere il cielo, abbracciare l’albero, l’ago d’oro giace in fondo al mare; sono nomi dedotti da fenomeni naturali, dal comportamento di animali o da racconti e favole popolari”
Queste poetiche definizioni venivano recitate dai maestri per suggerire agli allievi un singolo gesto o una sequenza di movimenti.
Come un gioco o come una danza, il
Tai Chi Chuan – nato nell’antichità come arte marziale – si basa sullo sviluppo della forza interiore, ricercata attraverso la concatenazione di movimenti rilassati e leggeri, rispettosi della naturale struttura del corpo. Attraverso la pratica dell’esercizio a solo (Forma), il fanciullo impara a conoscere il proprio corpo e ne scopre le potenzialità, impara a sentire e interpretare la realtà in cui vive. Il Tai Chi Chuan aiuta a stimolare l’amore e il rispetto per la vita e per la natura. Si basa su una serie di movimenti fisici morbidi alternati a movimenti dinamici più esterni; l’esuberanza del giovane si canalizza in tecniche atte alla difesa attraverso una gestione consapevole dell’aggressività, delle emozioni del respiro e dell’energia vitale. L’invito è rivolto ai giovani che desiderano sperimentare questa antica arte marziale.
Disabili – le differenze tra oriente e occidente
La programmazione e gli interventi nell’ambito delle disabilità richiedono – al fine di ricorrere a espressioni poco corrette e scarsamente condivisibili – l’ancoraggio a quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha trattato in termini di conseguenze delle malattie e che hanno trovato, nel 1980, una prima definizione e classificazione nella Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità ed Handicap (ICDIH):
Tabella ICDIHTermine | Definizione |
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MENOMAZIONE | riguarda un organo o un apparato funzionale, ogni perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o psichica |
DISABILITÀ | riguarda ogni limitazione della persona nello svolgimento di una attività secondo i parametri considerati normali per un essere umano |
HANDICAP | si manifesta a seguito della interazione con l’ambiente, è uno svantaggio che limita o impedisce il raggiungimento di una condizione sociale normale in relazione all’età, al sesso ai fattori sociali e culturali propri della persona. |
La legge n° 104 del 1992 contempla un ambito molto esteso di interventi nei confronti dei disabili. Nell’articolo 3 viene definita la persona handicappata come una persona che ha delle difficoltà molto gravi.
1) E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che a causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa è tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
2) La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
3) Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata alla età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazioni di gravità, determinando priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici minorazione fisica o psichica DIFFICOLTA’ svantaggio sociale.
Per quanto riguarda la presa di posizione orientale, pur non conoscendo a fondo le tematiche sanitarie cito alcuni esempi per identificare meglio alcune persone “diversamente abili”. In Giappone le persone che non riescono ad inchinarsi non sono portate al cospetto dell’imperatore, e coloro che non riescono a estrarre una spada non possono entrare in un Dojo di arti marziali, dal momento che non potrebbero sostenere un combattimento e quindi non possono praticare nessuna arte marziale, così come gli anziani. In alcuni testi della cultura taoista non medica (questa mi è sconosciuta) si afferma che l’ottenere qualcosa dipende da determinate circostanze, così come il perdere qualcosa. La persona che si adatta alla propria condizione non potrà essere completamente presa dalla tristezza né dalla gioia, distacco seguito dalla accettazione, che non è solo evitare le preoccupazioni ma anche accogliere tutto ciò che accade anche quando è particolarmente spiacevole. D’altra parte, le cose piacevoli che ci accadono – anche se apparentemente non ci possono toccare – ci trasformano ugualmente, se non altro nel corpo. Il fatto di essere menomati non è collegato a un abuso del corpo né a uno squilibrio di “soffi”. A volte in natura si verificano squilibri così a caso; questo probabilmente era scritto nel destino. Quello che bisogna continuare a ricercare è il legame con il cielo, perché nulla può toccare l’essere che è in relazione con l’assoluto; tutto ciò che esiste al livello dell’uomo, dell’umano, del terreno, viene toccato dai grandi movimenti che presiedono alla vita.
MOTRICITÀ NELL’ HANDICAP, APPROCCIO AL TAI CHI CHUAN
Lo sviluppo della persona umana dipende dalla capacità e dalle possibilità di acquisire, organizzare e utilizzare una serie di informazioni riguardo a se stessa. Nel Tai Chi si mira a rafforzare la consapevolezza del proprio corpo, in un ambiente rassicurante, dove l’attenzione dell’allievo venga sollecitata, mantenuta e diretta con attività significative e motivanti. L’insegnante deve essere conscio degli effetti dell’approccio da lui adottato, in modo particolare dell’uso del contatto fisico e verbale, preferibilmente con cadenza regolare dell’ intervento.
ADATTAMENTO AD ALLIEVI CON HANDICAP FISICI
Lo sviluppo della persona dipende dalla capacità e dalle opportunità di ottenere e usare la conoscenza di sé in relazione all’ambiente circostante. Tale processo può realizzarsi solo se la persona è in grado di dare inizio alle proprie azioni e avere coscienza di esse, per cui bisogna essere in grado di fornire il maggior numero possibile di informazioni sistematiche sul corpo e sui suoi rapporti con l’ambiente circostante, cercando di sviluppare la propria conoscenza su:
-le varie parti del corpo e le loro relazioni
-il corpo e la sua interezza
– i modi in cui usare le varie parti del corpo
-la relazione del corpo con le altre persone, gli oggetti e lo spazio.
ESPERIENZA CON UNA PERSONA NON VEDENTE
In una persona non vedente è molto importante l’impiego della voce, con una corretta intonazione, cercando di aiutare a far capire il rapporto tra le varie parti del corpo, dei movimenti e il contatto con gli altri. Far attivare e orientare l’attenzione, creando una struttura di riferimento all’interno della quale la relazione tra attività corporea e input sensoriali possa essere rinforzata e integrata. La minorazione alla vista ha dirette conseguenze sulla capacità di ricevere e organizzare le informazioni provenienti dall’esterno. Una delle condizioni per lo sviluppo della consapevolezza del proprio corpo è la capacità di scoprire il rapporto esistente tra ciò che viene fatto e ciò che viene visto o sentito. Inizialmente si può lasciare che lo studente segua i movimenti dell’insegnante attraverso il diretto contatto corporeo. Se è necessario occorre guidare i suoi movimenti, incoraggiandolo ad integrare, trasformando le proprie sensazioni in gesti. Qui di seguito riporto l’esperienza personale con una persona non vedente, dalla grande forza di volontà, che su suggerimento di alcuni amici sta sperimentando la pratica del Tai Chi Chuan, ritenendo che alcuni aspetti di questa disciplina possano esserle utili. Solo dopo aver iniziato il percorso si è resa conto della mole di lavoro che si doveva sobbarcare e della difficoltà di integrazione all’interno del gruppo.
La testimonianza
«All’inizio pensavo che la pratica del tai chi chuan fosse un modo per “staccare la spina”, quindi il mio obiettivo iniziale era quello di liberare la mente».
Così dice l’allieva che, spogliata delle sue conoscenze, inizia con me un percorso nuovo. Io ho dovuto creare un metodo che puntasse maggiormente sulla parola, utilizzando esempi che in lei potessero rievocare immagini e le indicassero l’esercizio che stavamo facendo. Abbiamo lavorato a coppie, usando molto il contatto fisico così da permetterle la comprensione del movimento e dello spostamento all’interno della palestra. Pian piano alcuni concetti base della pratica sono stati interiorizzati e hanno permesso una relativa morbidezza nel gesto. Il fatto di non vedere e quindi di non poter osservare un’altra persona eseguire il LU l’ha portata a raccogliere le informazioni attraverso il tatto, poi a rielaborarle e trasformarle in un movimento concatenato e consequenziale. Un’altra difficoltà è data dal silenzio e dal vuoto che in una persona non vedente sono amplificati: la pratica del Tai Chi Chuan si presta poco a persone non vedenti in quanto è una disciplina poco “parlata”. La mole di lavoro per queste persone è sicuramente maggiore che in un vedente. Chi non vede può trarre informazioni solo sulla sua postura e dal suo sistema propiocettivo che dà utili indicazioni, ma indubbiamente manca la possibilità di verificare visivamente la verticalità del corpo, quali arti si muovono, qual è la direzione dello spostamento e con quale velocità. Le frustrazioni all’inizio erano tante, dovute alle difficoltà riscontrate, ma questo ha stimolato nell’allieva un interesse sempre maggiore, un desiderio di raggiungere una diversa padronanza del corpo, il tutto sorretto da una inesauribile forza di volontà. La determinazione nel voler raggiungere l’obiettivo prefissato, le ha permesso di attivare una serie di strategie per superare le difficoltà che di volta in volta incontrava, utilizzando una pazienza straordinaria. L’integrazione con il gruppo è venuta strada facendo. Gli allievi ogni tanto si sono sentiti frenati da questa presenza e io stesso a volte dimenticavo di accompagnare gli esercizi verbalmente oppure li cambiavo troppo repentinamente. È maturata così l’idea che poteva essere utile l’aiuto di un istruttore che la seguisse sia in classe sia con incontri privati. Ho portato l’attenzione del gruppo sulla difficoltà di eseguire la forma senza la possibilità di appoggiarsi alla vista, invitando gli allievi a eseguire la sequenza di movimenti con gli occhi chiusi, affinché verificassero le sensazioni che poteva provare un non vedente. A circa due anni dall’inizio dell’esperienza, queste sono le conclusioni dell’ allieva:
«È un’esperienza che mi permette di capire meglio cosa voglio dal corpo in termini di movimento e di percezioni interne. Vorrei anche esprimere un riconoscimento e un senso di gratitudine alle persone che mi hanno permesso di avvicinarmi e di accedere a questa pratica».
Da parte mia non posso che dirle «GRAZIE».
In soggetti psicotici o autistici che vivono la realtà in maniera ridotta o caotica, si sviluppano delle strategie comportamentali patologiche o “stereotipate” che escludono apparentemente l’ambiente circostante e inibiscono le integrazioni sociali. Viene determinata così nell’insegnante una presa di coscienza e una maggior determinazione, che non deve lasciar spazio a nessuna incertezza. È necessario cogliere le intenzioni positive nell’allievo e portarle alla luce, aiutarlo a guadagnare fiducia in se stesso creando stimolo ed attenzione per farlo partecipare attivamente alla lezione. Spesso queste persone imitano il movimento meccanico o superficiale, e questo può contribuire a perdere il contatto con il proprio corpo. Ciò può essere evitato dall’insegnante se sarà capace di variare i movimenti e attirare l’attenzione dell’allievo sulle sue azioni, usando segni, movimenti ed espressioni verbali.
Eperienza con giovani e adulti disabili
Una ulteriore esperienza che sto portando avanti è un progetto educativo con l’Azienda per i servizi sanitari n°4 Medio Friuli presso i C.S.R.E, centri socioriabilitativi, cioè strutture che accolgono giovani e adulti disabili, con gradi diversi di handicap, prevalentemente di tipo psichico. Nello svolgimento del programma rieducativo è stata introdotta una lezione settimanale di Tai Chi Chuan, così come avviene presso il centro diurno di Sacile, che già adotta questo programma da diversi anni. Devo dire che all’inizio non è stato facile trovare delle strategie “diverse” da quelle adottate normalmente. Gli esempi verbali non devono essere troppo astratti, ma di facile comprensione e riconducibili al vivere quotidiano; gli esercizi proposti devono essere pochi e molto semplici, affinché gli allievi li possano metabolizzare. È utile rendere l’ora di lezione serena e gioiosa, attirare l’attenzione degli allievi con una presenza da parte mia superiore alla norma, utilizzando tutta la creatività e l’intuito in mio possesso, comprendendo che la tecnica studiata/imparata nella scuola è sì insostituibile, ma non è tutto. L’obiettivo principale è stato capire come utilizzare l’arte del Tai Chi Chuan per dare il meglio di me a questi ragazzi. Ho compreso come questa sublime tecnica imparata con fatica sia importante perché mi permette e mi dona gli strumenti per “darmi” al meglio, cioè con amore. Non ho preteso che queste persone eseguissero la forma come me, ma come loro sono in grado di fare, con gioia e serenità. Così è sicuramente una bella tecnica! Un risultato immediato è stato portare l’attenzione su quello che si faceva e ottenere il silenzio: cosa molto difficile, a detta degli operatori. Penso che questa esperienza mi sia servita molto a comprendere che cosa io possa e debba volere dalle persone che mi stanno davanti, tenendo conto delle loro difficoltà e gioendo di ogni singolo avanzamento, per quanto piccolo.