Taiji Quan

Dalle arti Marziali Cinesi al Tai Chi Chuan (Taiji Quan)

Il Tai Chi Chuan (Taiji Quan) è una delle più importanti branche delle Arti Marziali cinesi, ed è il risultato della fusione di varie arti e discipline. È utile, per capirne lo spirito, tracciare un profilo storico che sia anche linea genealogica delle più importanti famiglie e maestri. Sono passati più di 300 anni da quando iniziò la sua diffusione all’inizio della dinastia Qing. L’immensa popolarità raggiunta all’inizio del nostro secolo dette origine alla credenza che questo pugilato (Chuan) sia stato trasmesso all’uomo da esseri celesti. Come risultato la data della sua origine è stata spostata molti secoli prima.

Tradizionalmente l’arte era conosciuta con differenti nomi secondo le personali preferenze dei maestri e la cultura della località dove si praticava. Shi San Shin, Mien Chuan, Chang Chuan sono alcune definizioni dell’arte.

Tai Chi Chuan è l’ultimo appellativo in ordine di tempo. La definizione si riferisce al pensiero filosofico taoista sul quale si basa il sistema marziale: la complementarietà de gli opposti. Il continuo mutamento generato dalla tendenza a ristabilire sempre nuovi equilibri. Da un punto di vista storico la nascita e lo sviluppo dei Tai Chi Chuan è alquanto vaga.

Generalmente si attribuisce a CHANG SAN FENG la creazione del metodo. Questo santo taoista lo avrebbe ideato nel 1200 (dinastia SUNG) ispirandosi ai movimenti dei serpente e della gazza. Molto probabilmente anche se CHANG SAN FENG viene accreditato come il primo fondatore dei Tai Chi Chuan, lo stile potrebbe essersi sviluppato come una specializzazione dello SHAO LIN CHUAN (Boxe del tempio di SHAO LIN) di origine buddista o come risposta a questa scuola da parte della comunità taoista del monte WU DAN celebre per la pratica dell’alchimia interiore.

Bisogna arrivare alla metà dei settimo secolo per avere notizie storiche più chiare e precise. Nella genealogia delle famiglie CHEN, conservate nel villaggio di CHEN JIA KOU, viene riportato che CHEN WANG TING della nona generazione: “…era il creatore dell’arte marziale con armi e a mano nuda della scuola CHEN …. “. Dopo 5 generazioni l’arte della famiglia passò a CHEN CHANG XING (1771-1853). Tradizionalmente l’insegnamento di molte arti marziali era ristretto a parenti con lo stesso cognome. Molto di rado gli estranei potevano accostarsi agli aspetti più profondi di un’arte marziale di famiglia.

Un uomo chiamato YANG LU CHAN (1797-1873) volle imparare il Tai Chi Chuan. Non essendo membro della famiglia CHEN usò un espediente per avvicinarsi al maestro: si fece assumere in qualità di servo di casa. Ebbe così la possibilità di esercitarsi con gli allievi nelle normali lezioni e spiare nottetempo le pratiche riservate ai membri più stretti della famiglia. Quando fu scoperto venne costretto, per punizione, a battersi contro i migliori allievi della famiglia, YANG li battè facilmente.

Da quel momento fu accettato come discepolo da CHEN CHANG XING che lo iniziò alle pratiche più segrete del Tai Chi Chuan. YANG LU CHAN trasferitosi a Pechino cambiò gradualmente le sequenze imparate dal suo maestro creando una forma volta al miglioramento della salute e al benessere fisico. Un ulteriore adattamento fu apportato dal suo terzo figlio YANG JIAN HOU (1839-1937). Il terzo figlio di YANG JIAN HOU si chiamava YANG CHEN FU che è stato, senza dubbio, il più grande maestro del XX° secolo. Viaggiando instancabilmente egli diffuse la sua arte in tutta la Cina.

Bisogna sottolineare che YANG CHEN FU, come i maestri che lo avevano preceduto, insegnava il Tai Chi Chuan in pubblico esclusivamente come una forma di esercizio fisico salutare. Per questo motivo e per permettere una pratica agevole anche a persone anziane o debilitate egli mise a punto forme abbreviate e semplificate della cosiddetta “forma lunga”. Gli altri aspetti del Tai Chi Chuan e in particolari quelli marziali continuarono a venire trasmessi solo a pochi allievi selezionati. Così, grazie a YANG CHEN FU, fu codificato un TAI CHI chiamato il grande stile, ampio e armonioso riconosciuto come la forma della famiglia YANG, la più popolare forma di Tai Chi Chuan nel mondo.

Vuoi partecipare al corso?

Per eseguire la sequenza lenta e continua dei movimenti nel Tai Chi, la persona deve impiegare attenzione, concentrazione e memorizzazione. La continua ricerca di un’esecuzione migliore di questi movimenti porta la persona alla coscienza della sua postura globale con un migliore utilizzo delle capacità e delle prestazioni motorie; nell’anziano questo è molto importante, visto che dovrebbe tendere al movimento con “economia di energia”. Anche azioni comuni come il semplice alzarsi da una sedia e sedersi vengono così eseguite con più sicurezza e minor fatica. La lentezza dei movimenti e la continua alternanza del peso da un piede all’altro, dal tallone all’avampiede, dal bordo interno al bordo esterno, favoriscono un maggiore apprezzamento del peso del corpo, cosa cui l’anziano non è più abituato e per le condizioni articolari e per la mancanza di utilizzo degli organi sensori del carico. Questo è uno stimolo ad una migliore coordinazione motoria, che viene comunque sollecitata nel Tai Chi dall’apprendimento di sequenze di movimenti che coinvolgono tutto il corpo e in particolar modo il bacino e il tronco. Anziani La persona anziana spesso incontra difficoltà nel controllare contemporaneamente l’azione e la collocazione dei propri arti nello spazio: davanti e dietro a sé, a destra e a sinistra, in alto e in basso. Con la pratica del Tai Chi si acquisisce una maggiore padronanza dello spazio e del rapporto del proprio corpo con lo spazio. L’atto respiratorio è la maggiore fonte di energia: nel Tai Chi la persona impara ad ascoltare le sensazioni date dalle diverse fasi e dai diversi tipi di respirazione e questo porta a una migliore funzionalità respiratoria, che si traduce in maggiore apporto di ossigeno al cervello e all’apparato muscolare. Seguire il proprio ritmo respiratorio, sentire questa alternanza lenta e continua aiuta a rilassare sia la mente sia il corpo, soprattutto la muscolatura del collo e delle spalle, che di solito è tesissima in una fissità di “inspirazione antalgica”. Nel Tai Chi il movimento non raggiunge mai l’estremo grado articolare, perciò svolge una mobilizzazione dolce a livello articolare.

Giovani

Suonare il liuto, accarezzate la coda del pavone, sostenere il cielo, abbracciare l’albero, l’ago d’oro giace in fondo al mare; sono nomi dedotti da fenomeni naturali, dal comportamento di animali o da racconti e favole popolari” Queste poetiche definizioni venivano recitate dai maestri per suggerire agli allievi un singolo gesto o una sequenza di movimenti. Come un gioco o come una danza, il Tai Chi Chuan – nato nell’antichità come arte marziale – si basa sullo sviluppo della forza interiore, ricercata attraverso la concatenazione di movimenti rilassati e leggeri, rispettosi della naturale struttura del corpo. Attraverso la pratica dell’esercizio a solo (Forma), il fanciullo impara a conoscere il proprio corpo e ne scopre le potenzialità, impara a sentire e interpretare la realtà in cui vive. Il Tai Chi Chuan aiuta a stimolare l’amore e il rispetto per la vita e per la natura. Si basa su una serie di movimenti fisici morbidi alternati a movimenti dinamici più esterni; l’esuberanza del giovane si canalizza in tecniche atte alla difesa attraverso una gestione consapevole dell’aggressività, delle emozioni del respiro e dell’energia vitale. L’invito è rivolto ai giovani che desiderano sperimentare questa antica arte marziale.

Disabili – le differenze tra oriente e occidente

La programmazione e gli interventi nell’ambito delle disabilità richiedono – al fine di ricorrere a espressioni poco corrette e scarsamente condivisibili – l’ancoraggio a quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha trattato in termini di conseguenze delle malattie e che hanno trovato, nel 1980, una prima definizione e classificazione nella Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità ed Handicap (ICDIH):
Tabella ICDIH
TermineDefinizione
MENOMAZIONEriguarda un organo o un apparato funzionale, ogni perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o psichica
DISABILITÀriguarda ogni limitazione della persona nello svolgimento di una attività secondo i parametri considerati normali per un essere umano
HANDICAPsi manifesta a seguito della interazione con l’ambiente, è uno svantaggio che limita o impedisce il raggiungimento di una condizione sociale normale in relazione all’età, al sesso ai fattori sociali e culturali propri della persona.
La legge n° 104 del 1992 contempla un ambito molto esteso di interventi nei confronti dei disabili. Nell’articolo 3 viene definita la persona handicappata come una persona che ha delle difficoltà molto gravi. 1) E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che a causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa è tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2) La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3) Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata alla età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazioni di gravità, determinando priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici minorazione fisica o psichica DIFFICOLTA’ svantaggio sociale. Per quanto riguarda la presa di posizione orientale, pur non conoscendo a fondo le tematiche sanitarie cito alcuni esempi per identificare meglio alcune persone “diversamente abili”. In Giappone le persone che non riescono ad inchinarsi non sono portate al cospetto dell’imperatore, e coloro che non riescono a estrarre una spada non possono entrare in un Dojo di arti marziali, dal momento che non potrebbero sostenere un combattimento e quindi non possono praticare nessuna arte marziale, così come gli anziani. In alcuni testi della cultura taoista non medica (questa mi è sconosciuta) si afferma che l’ottenere qualcosa dipende da determinate circostanze, così come il perdere qualcosa. La persona che si adatta alla propria condizione non potrà essere completamente presa dalla tristezza né dalla gioia, distacco seguito dalla accettazione, che non è solo evitare le preoccupazioni ma anche accogliere tutto ciò che accade anche quando è particolarmente spiacevole. D’altra parte, le cose piacevoli che ci accadono – anche se apparentemente non ci possono toccare – ci trasformano ugualmente, se non altro nel corpo. Il fatto di essere menomati non è collegato a un abuso del corpo né a uno squilibrio di “soffi”. A volte in natura si verificano squilibri così a caso; questo probabilmente era scritto nel destino. Quello che bisogna continuare a ricercare è il legame con il cielo, perché nulla può toccare l’essere che è in relazione con l’assoluto; tutto ciò che esiste al livello dell’uomo, dell’umano, del terreno, viene toccato dai grandi movimenti che presiedono alla vita.

MOTRICITÀ NELL’ HANDICAP, APPROCCIO AL TAI CHI CHUAN

Lo sviluppo della persona umana dipende dalla capacità e dalle possibilità di acquisire, organizzare e utilizzare una serie di informazioni riguardo a se stessa. Nel Tai Chi si mira a rafforzare la consapevolezza del proprio corpo, in un ambiente rassicurante, dove l’attenzione dell’allievo venga sollecitata, mantenuta e diretta con attività significative e motivanti. L’insegnante deve essere conscio degli effetti dell’approccio da lui adottato, in modo particolare dell’uso del contatto fisico e verbale, preferibilmente con cadenza regolare dell’ intervento.
ADATTAMENTO AD ALLIEVI CON HANDICAP FISICI
Lo sviluppo della persona dipende dalla capacità e dalle opportunità di ottenere e usare la conoscenza di sé in relazione all’ambiente circostante. Tale processo può realizzarsi solo se la persona è in grado di dare inizio alle proprie azioni e avere coscienza di esse, per cui bisogna essere in grado di fornire il maggior numero possibile di informazioni sistematiche sul corpo e sui suoi rapporti con l’ambiente circostante, cercando di sviluppare la propria conoscenza su: -le varie parti del corpo e le loro relazioni -il corpo e la sua interezza – i modi in cui usare le varie parti del corpo -la relazione del corpo con le altre persone, gli oggetti e lo spazio.



ESPERIENZA CON UNA PERSONA NON VEDENTE

In una persona non vedente è molto importante l’impiego della voce, con una corretta intonazione, cercando di aiutare a far capire il rapporto tra le varie parti del corpo, dei movimenti e il contatto con gli altri. Far attivare e orientare l’attenzione, creando una struttura di riferimento all’interno della quale la relazione tra attività corporea e input sensoriali possa essere rinforzata e integrata. La minorazione alla vista ha dirette conseguenze sulla capacità di ricevere e organizzare le informazioni provenienti dall’esterno. Una delle condizioni per lo sviluppo della consapevolezza del proprio corpo è la capacità di scoprire il rapporto esistente tra ciò che viene fatto e ciò che viene visto o sentito. Inizialmente si può lasciare che lo studente segua i movimenti dell’insegnante attraverso il diretto contatto corporeo. Se è necessario occorre guidare i suoi movimenti, incoraggiandolo ad integrare, trasformando le proprie sensazioni in gesti. Qui di seguito riporto l’esperienza personale con una persona non vedente, dalla grande forza di volontà, che su suggerimento di alcuni amici sta sperimentando la pratica del Tai Chi Chuan, ritenendo che alcuni aspetti di questa disciplina possano esserle utili. Solo dopo aver iniziato il percorso si è resa conto della mole di lavoro che si doveva sobbarcare e della difficoltà di integrazione all’interno del gruppo.



La testimonianza

«All’inizio pensavo che la pratica del tai chi chuan fosse un modo per “staccare la spina”, quindi il mio obiettivo iniziale era quello di liberare la mente». Così dice l’allieva che, spogliata delle sue conoscenze, inizia con me un percorso nuovo. Io ho dovuto creare un metodo che puntasse maggiormente sulla parola, utilizzando esempi che in lei potessero rievocare immagini e le indicassero l’esercizio che stavamo facendo. Abbiamo lavorato a coppie, usando molto il contatto fisico così da permetterle la comprensione del movimento e dello spostamento all’interno della palestra. Pian piano alcuni concetti base della pratica sono stati interiorizzati e hanno permesso una relativa morbidezza nel gesto. Il fatto di non vedere e quindi di non poter osservare un’altra persona eseguire il LU l’ha portata a raccogliere le informazioni attraverso il tatto, poi a rielaborarle e trasformarle in un movimento concatenato e consequenziale. Un’altra difficoltà è data dal silenzio e dal vuoto che in una persona non vedente sono amplificati: la pratica del Tai Chi Chuan si presta poco a persone non vedenti in quanto è una disciplina poco “parlata”. La mole di lavoro per queste persone è sicuramente maggiore che in un vedente. Chi non vede può trarre informazioni solo sulla sua postura e dal suo sistema propiocettivo che dà utili indicazioni, ma indubbiamente manca la possibilità di verificare visivamente la verticalità del corpo, quali arti si muovono, qual è la direzione dello spostamento e con quale velocità. Le frustrazioni all’inizio erano tante, dovute alle difficoltà riscontrate, ma questo ha stimolato nell’allieva un interesse sempre maggiore, un desiderio di raggiungere una diversa padronanza del corpo, il tutto sorretto da una inesauribile forza di volontà. La determinazione nel voler raggiungere l’obiettivo prefissato, le ha permesso di attivare una serie di strategie per superare le difficoltà che di volta in volta incontrava, utilizzando una pazienza straordinaria. L’integrazione con il gruppo è venuta strada facendo. Gli allievi ogni tanto si sono sentiti frenati da questa presenza e io stesso a volte dimenticavo di accompagnare gli esercizi verbalmente oppure li cambiavo troppo repentinamente. È maturata così l’idea che poteva essere utile l’aiuto di un istruttore che la seguisse sia in classe sia con incontri privati. Ho portato l’attenzione del gruppo sulla difficoltà di eseguire la forma senza la possibilità di appoggiarsi alla vista, invitando gli allievi a eseguire la sequenza di movimenti con gli occhi chiusi, affinché verificassero le sensazioni che poteva provare un non vedente. A circa due anni dall’inizio dell’esperienza, queste sono le conclusioni dell’ allieva: «È un’esperienza che mi permette di capire meglio cosa voglio dal corpo in termini di movimento e di percezioni interne. Vorrei anche esprimere un riconoscimento e un senso di gratitudine alle persone che mi hanno permesso di avvicinarmi e di accedere a questa pratica». Da parte mia non posso che dirle «GRAZIE». In soggetti psicotici o autistici che vivono la realtà in maniera ridotta o caotica, si sviluppano delle strategie comportamentali patologiche o “stereotipate” che escludono apparentemente l’ambiente circostante e inibiscono le integrazioni sociali. Viene determinata così nell’insegnante una presa di coscienza e una maggior determinazione, che non deve lasciar spazio a nessuna incertezza. È necessario cogliere le intenzioni positive nell’allievo e portarle alla luce, aiutarlo a guadagnare fiducia in se stesso creando stimolo ed attenzione per farlo partecipare attivamente alla lezione. Spesso queste persone imitano il movimento meccanico o superficiale, e questo può contribuire a perdere il contatto con il proprio corpo. Ciò può essere evitato dall’insegnante se sarà capace di variare i movimenti e attirare l’attenzione dell’allievo sulle sue azioni, usando segni, movimenti ed espressioni verbali.


Eperienza con giovani e adulti disabili

Una ulteriore esperienza che sto portando avanti è un progetto educativo con l’Azienda per i servizi sanitari n°4 Medio Friuli presso i C.S.R.E, centri socioriabilitativi, cioè strutture che accolgono giovani e adulti disabili, con gradi diversi di handicap, prevalentemente di tipo psichico. Nello svolgimento del programma rieducativo è stata introdotta una lezione settimanale di Tai Chi Chuan, così come avviene presso il centro diurno di Sacile, che già adotta questo programma da diversi anni. Devo dire che all’inizio non è stato facile trovare delle strategie “diverse” da quelle adottate normalmente. Gli esempi verbali non devono essere troppo astratti, ma di facile comprensione e riconducibili al vivere quotidiano; gli esercizi proposti devono essere pochi e molto semplici, affinché gli allievi li possano metabolizzare. È utile rendere l’ora di lezione serena e gioiosa, attirare l’attenzione degli allievi con una presenza da parte mia superiore alla norma, utilizzando tutta la creatività e l’intuito in mio possesso, comprendendo che la tecnica studiata/imparata nella scuola è sì insostituibile, ma non è tutto. L’obiettivo principale è stato capire come utilizzare l’arte del Tai Chi Chuan per dare il meglio di me a questi ragazzi. Ho compreso come questa sublime tecnica imparata con fatica sia importante perché mi permette e mi dona gli strumenti per “darmi” al meglio, cioè con amore. Non ho preteso che queste persone eseguissero la forma come me, ma come loro sono in grado di fare, con gioia e serenità. Così è sicuramente una bella tecnica! Un risultato immediato è stato portare l’attenzione su quello che si faceva e ottenere il silenzio: cosa molto difficile, a detta degli operatori. Penso che questa esperienza mi sia servita molto a comprendere che cosa io possa e debba volere dalle persone che mi stanno davanti, tenendo conto delle loro difficoltà e gioendo di ogni singolo avanzamento, per quanto piccolo.
Una chiave per ritrovare la nostra essenza
Il Taiji Quan è uno stile interno di Kung Fu profondamente permeato dalla filosofia taoista ed è uno strumento molto efficace per il raggiungimento della consapevolezza corporea e interna. I principi filosofici taoisti, specialmente se abbinati in modo consapevole alla pratica, guidano l’allievo verso una comprensione più ampia di sé e delle situazioni vissute nel quotidiano e di quelle di relazione. I termini taoisti YIN YANG identificano tra l’altro  il femminile, il maschile e molti altri opposti-complementari, che sono la base delle più antiche discipline taoiste cinesi come il Taiji Quan. Nonostante la nostra vita occidentale abbia radici culturali differenti rispetto alla concezione filosofica orientale, si può cogliere, nel continuo alternarsi dello Yin e dello Yang, la chiave per porre rimedio a squilibri e riportare ordine in modo armonico tra corpo e mente, tra uomo e donna, tra materialità e spiritualità, tra forza e morbidezza. La pratica del Taiji Quan ci dà la dimostrazione fisica di come la cedevolezza e la morbidezza possano prevalere sulla forza e sulla durezza; ci offre una risorsa per rivalutare le potenzialità dello YIN (femminile), utile strumento per le donne che desiderano ritrovare la potenzialità del proprio essere profondo ancestrale, del proprio essere motore della vita. Può altresì aiutare a far riemergere in modo riequilibrato la fermezza e la forza dello YANG (maschile) anche nella donna che, spaventata dall’aggressività esterna, rifugge dall’emulazione maschile, disconoscendo nella propria essenza la pur necessaria componente maschile. Inoltre può essere un valido strumento per l’uomo anch’esso vittima del tempo moderno, ossessionato da prestazioni che lo pongono in un interminabile conflitto allontanandolo sempre più dalla vita, dall’amore; uno strumento che gli permette di scoprire dentro di sé la tenerezza di un bimbo. Il Taiji Quan ci appare come una sequenza di movimenti di lentezza misurata, nella quale si alternano figure che ci rimandano alle delicate movenze di alcune specie di animali come la gru bianca che spiega le ali, il serpente che mostra la lingua, la scimmia che prende la frutta e altre ancora. La bellezza dei movimenti è arricchita dalla morbidezza e a volte dalla fermezza che si esprime in alcuni eventi naturali, come il fluire dell’acqua, l’agitarsi delle nuvole, il calore e l’espansione del fuoco. Durante la pratica si impara a percepirsi come unità, a sentire la propria energia scorrere dentro di sé, ad ascoltare il respiro, il corpo, le emozioni, le esigenze e i desideri e, così facendo, anche gli aspetti più profondi della propria umanità vengono a galla. Il tipo di attenzione posta negli esercizi favorisce lo sviluppo di un’attitudine all’ascolto completo del proprio esistere. La pratica degli esercizi può essere destinata a due macro aree di ricerca: l’ascolto del mondo interiore e l’ascolto nel mondo delle relazioni. In realtà queste due aree sono sempre interconnesse, ma è possibile portare su di esse specifiche attenzioni: Gli esercizi individuali sono particolarmente adatti per l’ascolto del proprio mondo interiore, quindi per l’introspezione, la gestione dell’energia e il contatto col proprio corpo. Gli esercizi a coppie si prestano, invece, allo sviluppo dell’ascolto di noi stessi in tutte le situazioni in cui abbiamo a che fare con altre persone: relazioni di coppia, ambiti di lavoro, situazioni corali e altro. Ad esempio il “Tui Shou”, pratica che viene eseguita in coppia, ci permette di relazionarci con l’esterno, di rielaborare la nostra relazione con “l’altro”: dimensione imprescindibile della nostra vita sociale che il “Tui Shou”, parte integrante del Taiji Quan, ci permette di rivisitare. Oggi la vita sociale ci allontana sempre di più da un contatto umano inteso come manifestazione delle nostre emozioni. Molti di noi temono, non gradiscono ed evitano questo approccio, perché non hanno gli strumenti per poter codificare tali manifestazioni. Nell’esercizio a due ci riappropriamo di quegli strumenti indispensabili per relazionarci con chi ci è accanto o di fronte attraverso l’ascolto, la cedevolezza, la morbidezza, l’aderire, il seguire: strumenti questi dimenticati, perché sostituiti dall’aggressività, dalla prepotenza e dal protagonismo. La pratica con un partner quindi, non deve essere vissuta in modo antagonista, ma piuttosto come un’apertura verso la comprensione dell’altro. Scoprire le somiglianze fa comprendere e accettare le diversità. Si apprende il rispetto, la tolleranza e si partecipa al DAO (via-vita). Il Taijiquan riapre una finestra sull’esterno ci rieduca a relazionarci. L’allievo deve cercare di mantenere lo stupore evitando di finire nell’abitudine con una giusta attenzione e spirito critico, l’insegnante deve essere sincero e costante nella sua pratica personale quotidiana senza troppe teorie, con tranquillità senza segreti, quello che è in quel momento, consapevole della inevitabile trasformazione nel tempo. Mantenendo quieta la mente restando saldamente ancorati al centro con consapevolezza, trascendendo lo stato di schiavitù in cui siamo relegati dalle percezioni, cosi si potrà penetrare la realtà in modo adeguato e proseguire la pratica (gong fu) armonicamente.
Zhang Shanfeng, leggendario Santo Taoista, concentra in sé l'unità con il tutto, in rapporto con la natura, con le arti e con la lotta.

Zhang Shanfeng, leggendario Santo Taoista, concentra in sé l’unità con il tutto, in rapporto con la natura, con le arti e con la lotta.

In tutti gli uomini è presente una carica di aggressività che altro non è che una manifestazione dell’istinto di sopravvivenza; se questo potenziale aggressivo viene costretto o limitato può sfociare in alienazione individuale o, ancor peggio, collettiva. Nel passato, in Oriente alcuni maestri hanno elaborato, traendoli da antiche tecniche guerriere, dei metodi per disciplinare questa aggressività, ritualizzandola attraverso stilizzazioni e tecniche simboliche, creando scuole o discipline atte a consentire il raggiungimento dell’autocontrollo e dell’equilibrio psico-fisico. La sopravvivenza del guerriero è legata alla sua capacità di adattarsi, deve essere in grado di trasformare qualsiasi avvenimento a suo vantaggio, deve attivare verso la vita un atteggiamento rivoluzionario e magico. La vera guerra è contro i nemici interiori: l’odio, la disperazione, l’invidia. Il guerriero ha il coraggio di affrontare i draghi interiori, che lo mettono in grado di affrontare quelli esteriori con intelligenza, autodisciplina e saggezza. La pratica del tai chi chuan, e il suo studio è da compiere per stadi, senza voler bruciare le tappe con costanza e umiltà, aspettando che la natura faccia il suo corso e che i cambiamenti avvengano spontaneamente. Salendo una scala bisogna far attenzione a ogni singolo piolo senza saltarne nemmeno uno, così sì è consapevoli della salita e non si avrà dubbi nel percorrerla. Lo sviluppo di ognuno di noi procede per stadi, restando troppo a lungo a un certo livello, la nostra crescita risulterà stentata, mentre se ci affrettiamo a superarlo non si trarrà insegnamento dalla esperienza del momento. Dunque una crescita non equilibrata costringendoci a tornare sui nostri passi per rimediare. Cercare di discernere i vari stadi della vita riconoscendo il passaggio da una fase all’altra è importante come nel gong fu (kung fu) , abilità ottenuta che si ottiene con sacrificio e dedizione nel tempo, facendo sempre e solo un passo alla volta: ad ogni età il giusto metodo e i giusti obiettivi. Il riconoscimento è un fattore prezioso. La pratica non può ridursi a una mera ripetizione, meccanica, sterile e vuota di esercizi e posture, la forma stessa pur essendo sempre la solita risulta diversa alla percezione; eseguendola si è in grado, ascoltandosi, di cogliere sottili sfumature piccoli ma importanti cambiamenti, sapori sempre nuovi. L’intenzione è nella pratica (gong fu) non nel risultato. Non posso imparare più di quello che sto facendo. Perché non serve a niente. La pratica deve essere vissuta in pieno non deve trasformarsi in consuetudine, non deve essere idealizzata o descritta va VISSUTA in primis, essendo disposti a cambiare pelle, vestito, identità, rinunciando a se stessi facendo cadere ogni illusione. Molto importante è l’empatia  allievo/insegnante, l’allievo deve cercare di mantenere lo stupore evitando di finire nell’abitudine con una giusta attenzione e spirito critico, l’insegnante deve essere sincero e costante nella sua pratica personale quotidiana senza troppe teorie, con tranquillità senza segreti, quello che è in quel momento, consapevole della inevitabile trasformazione nel tempo. Mantenendo quieta la mente restando saldamente ancorati al centro con consapevolezza, trascendendo lo stato di schiavitù in cui siamo relegati dalle percezioni, cosi si potrà penetrare la realtà in modo adeguato e proseguire la pratica (gong fu) armonicamente.
La pratica
Il Tai Chi Chuan è un’arte, ma questo può non essere immediatamente evidente a chi osserva in modo distaccato i movimenti che lo caratterizzano. Il suo intento è quello di dare una “forma” al moto spontaneo dell’energia primordiale, ma… cos’è un’arte se non l’espressione che rende evidente un contenuto? Così il Tai Chi Chuan è l’arte del Chi, dell’energia vitale e la lunga pratica e la costante dedizione sono indispensabili per eliminare le sovrastrutture che impediscono al contenuto di affiorare e quindi di esprimersi.
Ideogramma rappresentante il Chi, Qi, Ki, Aria, respiro, energia interna.

Ideogramma rappresentante il Chi, Qi, Ki, Aria, respiro, energia interna.

Nei suoi intenti, il Tai Chi si propone di ritrovare quel cammino che ha fatto superare all’uomo il mondo dell’istinto. Il Tai Chi realizza questo non solo attraverso le tecniche fisiche, ma – soprattutto – attraverso una continua ricerca interiore, che consente all’individuo di sviluppare “l’energia vitale” e “l’istinto di conservazione” che sono innati in lui. Il praticante di Tai Chi ricerca la risonanza armonica fra la propria manifestazione dell’energia vitale e quella di tutti gli esseri viventi e, infine, quella dell’universo. Per affinare sempre più la percezione del fremito vitale, l’arte del Tai Chi Chuan insegna ad ascoltare l’affiorare delle emozioni attraverso il corpo fisico, l’emergere dei pensieri attraverso la mente e l’eco di ogni misterioso moto dell’anima. Armonizzare questi tre aspetti inscindibili del nostro essere permette di cogliere l’armonia perfetta del Tao. Il Tai Chi è un’arte marziale cinese e perciò è una tecnica di difesa, ma il suo carattere è non violento. La fluidità e la continuità dei suoi movimenti l’hanno fatto associare spesso alla danza, ma è anche chiamato “yoga cinese”: il ritmo costante e l’estrema lentezza con cui sono ripetuti i movimenti inducono infatti i praticanti a uno stato meditativo. Così ognuno può cogliere, alla fine, l’aspetto più consono alla propria natura. Praticando il Tai Chi Chuan si ottengono sensibili risultati, a livello fisico, mentale ed emotivo. La possibilità di contattare l’energia Chi attraverso una pratica continua consente di raggiungere, oltre che una maggiore resistenza psico-fisica, un migliore rilassamento del corpo e, attraverso le tecniche di respirazione, una scarica completa delle tensioni.
Gli stadi di sviluppo, le tre tappe del Tai Chi
L'immagine dell'acqua che scorre intesa come manifestazione del Chi, come un fluire incessante della vita da cui proveniamo, e di cui siamo fatti.

L’immagine dell’acqua che scorre intesa come manifestazione del Chi, come un fluire incessante della vita da cui proveniamo, e di cui siamo fatti.

In tutte le pratiche taoiste l’apprendimento è diviso in “tre stadi” che si realizzano con i “nove passi”, questo percorso è rappresentato dai San Tiao (le tre regolazioni). Tiao Shen (regolazione/armonizzazione del corpo), Tiao Xi (regolazione/armonizzazione del respiro), Tiao Xin (regolazione/armonizzazione della mente), i tre stadi corrispondono a tre livelli di raffinazione dell’energia. La pratica del Taijiquan prevede la trasformazione, (utilizzando la respirazione meditativa), del Chi da energia vitale/fisica in energia mentale SHEN che a sua volta verrà trasformata in una “non energia” o stato di vuoto SHU e ritorno alla vacuità TAO. Il praticante deve percepire queste variazioni energetiche correttamente, concentrandosi sul campo del Cinabro Tan Tien inferiore, immaginandolo come l’origine di un vortice di energia spiraliforme che avvolge il corpo circondandolo con volute.

L’energia interna si manifesta in fasi pulsanti e cicliche chiamate “grande e piccola rivoluzione” che dalla zona del Tan Tien inferiore passa al tronco e poi agli arti superiori e inferiori Inizialmente è necessario un periodo di pratica con volontà e coscienza.(sforzo cosciente) La fase iniziale di apprendimento (Shung Ching Wei Chu) in cui l’allievo si dispone alla massima recettività, attraverso uno stato di totale rilassamento. La fase intermedia (Chi Hoi), è uno stato cosciente e di concentrazione senza sforzo, in pace con se stesso, attento alla respirazione, (le fasi di respirazione sono uguali sia nella inspirazione che nella espirazione), la concentrazione viene trasferita al Tan Tien inferiore (Ch’I Hai) punto dove si realizza la simbiosi tra corpo e mente, tra il materiale e lo spirituale. Nella terza tappa (Lien Yang Hsiang Chien) lo spirito raggiunge la vera libertà “A spirito libero, universo libero”; è la fase in cui lo spirito attento ma rilassato, utilizzando una respirazione cosciente e regolare, inizia una purificazione raggiungendo una coscienza intuitiva. Una fase successiva conduce alla perdita della cognizione dell’io e del corpo cui esso appartiene, concetti come interno/esterno, luce/oscurità, azione/immobilità, perdono parte della loro importanza, permettendo al praticante la libertà. Il gran maestro Chen Man Ching indica in tre gli stadi di sviluppo di un praticante (uomo, terra, cielo) e per ognuno di essi altre tre fasi minori. Nello stadio Uomo attraverso l’armonizzazione del corpo si rilassano muscoli e tendini rinvigorendo il sangue. Nello stadio Terra si aprono le articolazioni attraverso lo sviluppo del Chi. Lo stadio Cielo coinvolge la coscienza, che avviene attraverso l’ascolto e l’interpretazione dell’energia del compagno attraverso il lavoro a coppie. Tuttavia per alcuni autorevoli maestri queste distinzioni vengono considerate solo a scopo didattico. L’uomo attraverso un’inarrestabile modifica del proprio organismo (il concepimento segna l’inizio di un costante divenire, la cui tappa finale coincide con l’annichilimento fisico), in un ambiente altrettanto mutevole, realizza ed estingue il suo ciclo biologico. Questa cognizione di mutevole trasformazione deve permettere all’uomo di adeguare la propria esistenza all’eterno divenire, affinché possa scindere ciò che è sostanza da ciò che è apparenza. La pratica giornaliera è la chiave del coretto apprendimento, non è sufficiente frequentare un seminario di tanto in tanto, con un “grande” maestro per possedere delle competenze reali. La pratica personale non può essere sostituita ne da libri, ne da videocassette o altro. Solo attraverso la consapevolezza e la distinzione del pieno dal vuoto, del sostanziale o non sostanziale (importante per i praticanti di Tai Chi Chuan), praticando assiduamente, si avvia un sincero percorso di apprendimento dell’arte del tai chi chuan.

Bibliografia
  • Saso Michael R., Il Taijiquan Religioso Esoterico secondo gli Insegnamenti del MaestroChuang, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editori, 1979.

  • Schipper kristopher, Il Corpo Taoista. Corpo Fisico, Corpo Sociale, Roma, Ubaldini Editori, 1983.

  • Bai Yuchan, Quali parole vi aspettate che aggiunga?: il Commentario al Daodejing di Bai Yuchan, Maestro Taoista del 13° secolo, a cura di Alfredo Cadonna, Firenze, Olschki, 2001.

  • Daoism Handbook, , Brill Leiden Boston Koln, edited by Livia Kohn, 2000.

  • Fabrizio Ponzetta, L’Esoterismo nella Cultura di Destra L’Esoterismo nella Cultura diSinistra, Treviso, Jubal Editore, 2005.

  • Aldo Natale Terrin, New Age. La Religiosita’ del Post-moderno, Bologna, EDB, 1993.

  • Yang Zhenduo, Yang Style Taijiquan,Beijin, Morning Glory Publishers, 1991.

  • Feng Zhiqiang e Feng Dabiao, Chen Style Taijiquan,Hong Kong, Hai Feng Publishing Co., 1984.

  • Wile, Douglas, Yang Family Secret Transmissions, Brooklyn, Sweet Ch’i Press, 1983.

  • Despeux, Catherine, Taiji Quan Arte MarzialeTecnica di Lunga Vita, Roma, Edizioni Mediterranee, 1987.

  • Dufresne Thomas e Nguyen Jacques, Taiji Quan, Paris, Editions Budostore, 1994.

  • Jou Tsung Hwa, Il Tao del Tai Chi Chuan, Roma, Ubaldini Editore, 1986.

  • Tiziano Grandi e Marco Venanzi, Fondamenti di Tai Chi Chuan, Milano, Luni Editrice, 2001.

  • Chang Tsu Yao e Fassi Roberto, Tai Chi Chuan il Segreto dell’Energia Vitale, Milano, De Vecchi Editore, 1991.

  • Yue Tan, The Principles of Taijiquan, Shanghai, Shanghai Translations and Publishing Centre, 1991.

  • Yang Jwing Ming, Advanced Yang Style Tai Chi Chuan, Jamaica Plain, YMAA Publication Center, 1986.

  • Yang Jwing Ming, Shaolin White Crane, Jamaica Plain, YMAA Publication Center, 1996.

  • Yang Jwing Ming,The Root of Chinese Chi Kung,Jamaica Plain,YMAA Publication Center, 1989.

  • Wen Shan Huang, Fundamentals of Tai Chi Chuan, Hong Kong, South Sky Book Company,1973.

  • Wong Kiew Kit, Il Libro del Tai Chi Chuan, Roma, Ubaldini Editore, 1998.

  • Grandi, Tiziano, “Taijiquan, origini e sviluppi”, Arti d’Oriente, n.9, 1999, da p.48 a p.53.

  • Grasso, Emilio, “Taijiquan stile Yang: la scuola antica”, Arti d’Oriente, n.3, 2000, da p.8 a p.19.
  • Benedetto, Ugo, “Il Ki, questo sconosciuto”, Arti d’Oriente, n.8, 2000, pp.70-71.

  • Sabattini Mario e Santangelo Paolo, Storia della Cina: dalle origini alla fondazionedella Repubblica, Bari, Edizioni Laterza, 1986.

  • Monica Esposito, Il Qi Gong, 1995, Casa Editrice MEB, Padova.

  • Li Xiao Ming, Metodo Pratico di Autoelevazione col Qi Gong Tradizionale Cinese, Genova, Erga Edizioni, 1997.

  • Isabelle Robinet, Storia del Taoismo, 1993, Ubaldini Editore, Roma.

  • Catherine Despeux, Taoismo e Corpo Umano, 2001, Edizioni Riza, Milano.

  • Anne Seidel, Il Taoismo Religione non Ufficiale della Cina, 1997, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia.

  • Cheng Man-Ch’ing, Tredici Capitoli sul T’ai-Chi Ch’uan, 1998, Pollini Editore, Venezia.