La prima esperienza del Tai Chi

Parco Verde Sole

La prima volta

La prima volta che vidi la forma lunga del Taijiquan, colui che la eseguiva e sarebbe poi divenuto il mio insegnante, aveva capito. Quando un occidentale assiste a questo tipo d’espressione difficilmente rimane indifferente al fascino creato dalla sinergia dei componenti che danno vita al movimento.

La prima cosa che mi colpì non fu però l’agilità, non la potenza o la morbidezza ma lo sguardo. Gli occhi erano presenti ed assenti al tempo stesso. Quello sguardo a volte t’incrociava ma pareva non considerarti mentre la sua luminosità assumeva sfumature mai viste prima. La presenza del praticante, così tangibile da risultare irreale, lo catapultava in una dimensione diversa, parallela. Più che sufficiente per catturarmi e spingermi ad iniziare ma, lentamente ed inesorabilmente, questo aspetto passò in secondo piano.

Avrebbe potuto anzi essere senz’altro dimenticato se, in un remoto angolo della mia mente, non fosse ormai stato attivato qualcosa che, noncurante delle circostanze, continuava a lavorare. Non si faceva altro infatti che discutere di tecniche, provarne di nuove, progredire nello studio ma, alla fine, tutto questo dove avrebbe condotto chi, come me, non desiderava dedicare una vita all’arte marziale? Sono passati parecchi anni e, con rinnovata difficoltà, tento di trovare parole adeguate a descrivere quel che ho intuito.

Prima di raggiungere una dimensione spirituale c’è, nella meditazione, una potente funzione di stabilizzazione della mente ovvero il perseguimento della consapevolezza dell’esistere in quel momento, nel presente, nel “Qui ed ora” che divengono allora un attimo indefinito ed infinito.

La chiave d’accesso a questa consapevolezza può trovarsi in qualsiasi attività ma esistono alcune tecniche (una delle definizioni del Taijiquan è, appunto, “Meditazione in movimento”) create appositamente a questo scopo.
Qualunque sia la tecnica utilizzata, il gesto diviene allora un mantra e funge da catalizzatore dell’Essenza del praticante permettendogli di superare le barriere della propria mente ed ottenere, di conseguenza, attenzione e concentrazione profonde in uno stato di calma consolidata.

Esistono vari stadi di questo “Diverso stato di coscienza” che potremmo chiamare “Consapevolezza”. Non importa allora se il praticante sia giovane od anziano, atletico o, come me, limitato dall’invalidità e, a ben pensarci, non importa neppure che possa deambulare autonomamente. Ha lavorato duramente, ha appreso una tecnica a tal punto da poterla trascendere perciò è riuscito, (non senza essere giunto ad “Uccidere il Maestro”) a stabilizzare la propria mente trasformandosi in un Mare.

Siamo correnti oceaniche, Acqua nell’Acqua. Ci distinguiamo uno dall’altro come le correnti appunto ma rimaniamo un’unica entità: l’oceano. Tutto quel che dobbiamo fare è rendercene conto e lavorare instancabilmente acciocché questo sia accessibile ad ogni essere dell’universo. Quando comprenderemo che colui che ci sta di fronte non è un’entità separata ma parte di noi non potremo certo più sfidarlo né, tanto meno, annientarlo o tentare di farlo perché significherebbe autodistruzione.

Meglio allora accoglierlo come il Mare fa con tutta l’acqua che lo raggiunge perché proprio da lì parte o, riparte, il processo vitale. Dovremmo quindi essere consci che ogniqualvolta raggiungiamo, sia pure per un solo istante, uno stato di maggior consapevolezza, la qualità della nostra vibrazione, percepibile da chi ci avvicina, inevitabilmente cambierà, propagandosi proprio come i diapason che risuonano in frequenza.

Suggerisce un antico testo filosofico taoista precedente l’era cristiana che gli effetti dei nostri atteggiamenti non si limitano a noi stessi ma sono inarrestabili. Esistono molti vocaboli con cui definire un fenomeno di questo tipo: qualcuno potrebbe essere più sensibile al concetto di ARMONIA, altri penseranno in termini diversi, una delle possibili definizioni è AMORE. Un Amore Universale.

Ecco allora il significato della suprema polarità: NON COMBATTERE ma ACCOGLIERE IL DIVERSO DA TE COME FOSSE TE STESSO!

Qui però arriva il bello: tutto questo non può essere assimilato attraverso le parole.

Comprenderlo concettualmente non ci garantirà la possibilità di viverlo. Ecco perché si tratta di insegnamenti che si trasmettono direttamente da Maestro a discepolo. Non basterà leggere un libro, nemmeno il migliore. Quando il nostro lavoro avrà raggiunto una sufficiente maturità e qualora l’insegnante non possedesse la conoscenza adeguata, assisteremmo ad uno spontaneo avvicendamento.

Questione di vibrazioni: “Quando l’allievo è pronto il Maestro arriva”! Tutti siamo in grado di parlare del mare ma quanti di noi hanno capito d’esserlo tanto da trasmetterlo agli altri?

Allora Maestro forse intuisco cosa significhi “Insegnamento senza parole”: quando cessa il rumore della mente, prima di qualsiasi pensiero e, quindi, di tutte le opinioni personali, nel terreno del Nulla, nel Vuoto, nella “Quiete appare un Movimento”. Lo apprezzi in quanto tale, stupito, rapito, estasiato…

Il primo pensiero che sopravviene è già un pensiero di troppo: a che servono le parole?

Renato Vazzoler