L’apprendimento del Taiji Quan ha caratteristiche simili ad un normale processo di apprendimento, come quello che noi seguiamo dalla scuola primaria fino ai più elevati gradi di istruzione.
Si procede per ampliamenti e approfondimenti continui, secondo un moto che potrebbe essere ben rappresentato da una spirale in cui si ritorna su ciò che si è appreso ma muovendosi su un piano più elevato ( profondità) e più esteso ( ampliamento)
Così come ogni grado di istruzione è propedeutico al livello successivo, anche nel Taiji Quan bisogna iniziare dal livello elementare e procedere con gradualità.

Proviamo a scandire il percorso di apprendimento secondo livelli di consapevolezza. L’uso della specificazione “di consapevolezza” sta a significare che il conseguimento di ogni livello è davvero tale se permette al praticante di coglierne il senso profondo, senso che ha a che fare con il pensiero filosofico cui quest’arte marziale si ispira.

Primo livello: la precisione
Ogni singola postura deve essere eseguita con precisione. Inizialmente si dovrà tenere conto delle varie parti del corpo. Bisogna imparare a mantenerlo eretto, a tenere il capo teso verso l’alto; tenere basse le spalle, affondare i gomiti, svuotare il petto, rilassare la vita permettendo che affondi verso il basso, piegare leggermente le ginocchia.
E’ inevitabile che inizialmente il corpo e i movimenti risultino rigidi: “estremamente solidi, ma internamente vuoti”. Ciò accade perché inizialmente il praticante non è in grado di percepire lo scorrere della forza interna, il Jin, dal momento che non esegue correttamente le varie posture.
Tuttavia, praticando seriamente tutti i giorni, si può gradualmente indurre il Qi, l’energia vitale, quella che scorre dentro ognuno di noi, a circolare all’interno del tronco e degli arti, cioè a “utilizzare i movimenti esterni per far muovere la forza interna, il Jin”.
Secondo livello: muoversi in modo coordinato
Questo livello si raggiunge imparando a collegare tra loro parti interne e parti esterne del corpo. La coordinazione interna implica il collegamento di cuore e mente, di energia vitale (Qi) e forza interna (Jin) , di tendini e ossa. La coordinazione esterna collega il movimento delle mani con i piedi, dei gomiti con le ginocchia, delle spalle con le anche.
Quando si esegue un movimento di chiusura con una parte del corpo, esso va accompagnato ad un movimento uguale e contrario cioè ad un movimento di apertura di un’altra parte del corpo e viceversa. I movimenti di apertura e chiusura si incontrano e si completano a vicenda in ogni posizione.
Allenandosi duramente nell’esecuzione delle sequenze di Taiji, bisogna fare in modo che i movimenti siano ben coordinati affinché anche un solo movimento sia sufficiente ad attivare ogni parte del corpo, dando vita ad un sistema dinamico completo e coordinato.
Quando si è in grado di percepire un flusso regolare di Qi nel corpo, si comincia a capire la natura della pratica: ciò dà fiducia ed entusiasmo e si ha voglia di praticare più intensamente.
Terzo livello: autoregolazione della postura
Raggiunti i primi due livelli, si cominciano a percepire eventuali movimenti inutili o non coordinati e quindi ad auto correggersi; si impara a fare in modo che i movimenti siano leggeri ma non fluttuanti (senza radici), pesanti ma non goffi.
L’errore in un movimento si ripercuote sull’intera sequenza e viceversa. Nella pratica del Tui Shou (mani che spingono), che non va disgiunta dalla pratica della sequenza, esercizi che si svolgono in coppia, qualunque carenza o imperfezione nell’esercizio a solo di Taiji apparirà come debolezza nel Tui Shou e viceversa. La sequenza deve risultare rilassata, dinamica, elastica, vivace; ogni movimento e ogni istante di immobilità esterna devono essere conformi al principio fondamentale del Taiji secondo il quale ogni più piccolo movimento deve mettere in moto tutto il corpo.
I cambiamenti interni, alternando ciò che è sostanziale e ciò che non lo è, devono essere invisibili all’esterno.
Quando i movimenti sono leggeri e si colgono i punti importanti di ogni movimento; quando le azioni sono coordinate con il respiro e ogni parte del corpo si muove in modo continuo e all’unisono, allora si è in grado di sentire e quindi capire la natura marziale della pratica, il perché dei singoli movimenti e avere un flusso regolare e continuo di Qi.
Quarto livello: porre l’attenzione sull’utilizzo dell’ intenzione, lo Yi
Tenendo presente la natura marziale del Taiji Quan, la pratica presuppone la presenza immaginaria di uno o più avversari. Tener conto di questa presenza permette di dare uno scopo al gesto, un’intenzione, lo Yi ,da non confondersi con la forza bruta, il Li.
A questo livello non bisogna prestare attenzione solo allo scorrere del Qi in tutto il corpo e trascurare le azioni esterne. La mente, attenta e concentrata, genera un flusso energetico continuo, finalizzato alla tecnica da esprimere.
In questo modo i pensieri confusi e vaganti si placano e la mente, raggiunto uno stato di calma in un corpo rilassato, in assenza di tensioni fisiche ed emotive, può incanalare sia l’energia vitale, il Qi, che la forza interna, il Jin, attraverso lo Yi, l’intenzione cosciente, in quanto generata da una mente capace di produrre un pensiero chiaro e distinto.
Quinto livello: saldare la pratica allo studio del pensiero tradizionale cinese
Lo studio dell’arte marziale implica lo studio della cultura tradizionale cinese dove filosofia, virtù, forze e pratiche sono tutt’uno; questo studio consente di recepire e far propri gli insegnamenti del maestro. L’ esempio deve partire dal maestro stesso. Un maestro che si limiti alla pratica, non ha compreso; se si limita a parlare di fonti, non mette gli allievi in grado di capire. Un maestro deve saper operare sia sul piano dei principi sia sul piano della pratica. Spetta agli allievi colmare il divario linguistico- culturale che li separa dal maestro: oltre che un dovere, ciò costituisce un atto d’amore verso il maestro, la scuola e l’esistenza stessa.

I livelli fin qui illustrati vanno percorsi senza fretta, con costanza ed umiltà,aspettando che la natura faccia il suo corso cioè che i cambiamenti avvengano spontaneamente. Ciò non esime però il praticante dall’esercitarsi con consapevolezza, la pratica non può ridursi a una ripetizione meccanica, sterile e vuota di movimenti e posture. Ascoltandosi e mettendo in atto l’autoregolamentazione, il praticante comincia a cogliere sottili sfumature, piccoli ma significativi cambiamenti.
La reciproca empatia con l’insegnante gli permetterà di mantener vivo lo stupore evitando di finire nell’abitudine; l’insegnante dovrà dimostrarsi sincero, senza segreti, capace di attendere, certo delle inevitabili trasformazioni nel tempo.

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