Tai Chi per Strada

Taichi svolto in Cina per strada

Taichi svolto in Cina per strada

Una distesa di vecchietti e casalinghe grassocce che si muovono in soporifera sincronia sull’erba di un grande parco.
Per la maggior parte delle persone è questa l’immagine evocata dal termine Tai Chi (scritto anche Taiji, Taijiquan o Tai Chi Chuan). Di questa pratica si sente spesso parlare per i benefici psicofisici e per il fatto che chiunque può praticarla, anche in età avanzata; ma nel Tai Chi c’è molto di più. Un intero mondo, in effetti.

Mi sono imbattuta in questo mondo circa sei anni fa, per motivi non proprio dipendenti dalla mia volontà. Avevo praticato per un paio d’anni il wushu (quello che di solito si definisce kung-fu, per intenderci), e non potevo più nascondermi che alcuni movimenti faticosi e acrobatici erano al di fuori della mia portata per motivi di età.
Controvoglia, mi misi a cercare una pratica sportiva che combinasse utilità fisica, fattibilità e il coinvolgimento dello spirito insieme al corpo. Dopo anni di danza, infatti, ogni sport tentato finiva con il sembrarmi troppo materiale e “povero”. Dovendo rinunciare al wushu, non avevo troppe speranze, e invece… bingo! Grazie a Internet scoprii l’esistenza del Tai Chi e del bagaglio culturale, filosofico e spirituale che porta con sé non come antefatto nascosto, ma come accompagnamento costante alla pratica.
È stato un incontro fortunato, nonché l’inizio di una bella avventura. Il Tai Chi infatti si è rivelato non solo un’attività fisica completa e di ottimo livello, ma anche – e soprattutto – una vera scuola di vita. Tutte le discipline sportive lo sono, in una certa misura, ma nel caso del Tai Chi questo si manifesta con particolare ricchezza. Gli spunti di riflessione che offre sono infiniti.

1 – L’uomo teso tra terra e cielo.
Ogni posizione vede il corpo ben radicato a terra, in equilibrio stabile ma non statico, e al tempo stesso “appeso” al cielo nel punto Ting, che coincide con la sommità della testa. Si manifesta qui come altrove la complementarietà degli opposti tipica del pensiero orientale, in un’immagine che simboleggia bene la posizione dell’uomo vero, capace di vivere la realtà terrena senza rinunciare alla sua dimensione spirituale.
2 – La forza nasce dal rilassamento.
Non c’è colpo efficace che non nasca dal rilassamento e non sia seguito da un nuovo rilassamento.
Il Tai Chi è un’arte marziale a pieno titolo, perciò ogni mossa di combattimento – che sia calcio, pugno, leva o altro – ha un significato tutt’altro che simbolico. Anche se la lentezza con cui è eseguita ne maschera la potenza, chiunque abbia provato a colpire il proprio Maestro o anche soltanto a spostarlo sa cosa intendo! Ebbene, la mancanza del giusto rilassamento rende impossibile l’espressione della forza. Non è così anche nella vita quotidiana? Ci affanniamo, sempre proiettati verso il futuro o verso il passato, sempre di corsa; e in questa finta attività ci precludiamo l’accesso alle stesse energie di cui abbiamo tanto bisogno.
3 – Nel combattimento reale vince l’adattabilità.
La pratica in palestra non include scontri fisici se non sotto forma di esercizi ritualizzati, ma in caso di necessità il Tai Chi, come ogni altra arte marziale, può essere usato come tecnica di difesa-offesa. Per vincere uno scontro usando il Tai Chi dobbiamo impedire alla forza dell’avversario di scaricarsi su di noi e al tempo stesso sfruttarla per destabilizzarlo, ovvero superare la sua guardia per colpirlo. È difficile da spiegare a parole, ma ciò che voglio sottolineare è che a prevalere non è il combattente più forte, più furbo o più cattivo, ma quello meglio radicato e consapevole degli spostamenti di energia insiti nello scontro – in ultima analisi, quello che sa utilizzare le proprie abilità per adattarsi alla situazione. Nella vita, mi sembra un’interessante alternativa all’affrontare le cose con un approccio di sfondamento, “di petto”.
4 – Nel Tai Chi non si diventa “bravi”, ma soltanto migliori.
Credo che il concetto stesso di bravura sia fuori luogo, in questo contesto; ma anche volendo usare il termine nel suo senso più comune, in media non si diventa “bravi” perché non si cresce con il Tai Chi e non lo si vive ogni giorno, e non ultimo perché si tratta di una pratica molto difficile. Altro che rilassamento per vecchietti. L’apprendimento prosegue all’infinito, senza traguardi da tagliare e spesso senza dare risultati appariscenti. Nel gruppo, il praticante più dimesso può essere quello più addentro alla tecnica. Per questo definisco la pratica del Tai Chi “lezione di umiltà” e la considero un vero balsamo per le smanie da prestazione che affliggono noi occidentali, me per prima.
5 – Prima si imparano le regole, poi si abbandonano le regole.
Il Tai Chi si basa su alcuni principi fondamentali assai complessi da acquisire. Dopo anni e anni di pratica si arriva al punto in cui questi principi possono essere dimenticati, perché si è fatta propria l’essenza stessa della tecnica e quindi si è liberi nel “creare” i propri movimenti. Anche se questa fase per noi occidentali non arriva quasi mai, mi sembra degna di attenzione l’idea che la vera libertà nasca dalla conoscenza approfondita delle regole, e non dall’ignoranza.
6 – Intensità nella lentezza.
Nel Tai Chi troviamo un’intensità che include fatica, allungamento, tonificazione. Sembra impossibile vedendolo praticare, ma il Tai Chi è un allenamento completo, che mette in moto ogni singolo muscolo del corpo, pur essendo alla portata di chiunque, indipendentemente dall’età, dal sesso e – genericamente parlando – dallo stato di salute. Tradotto in vita: il lavoro profondo conta di più del dimenarsi esteriore.
7 – Armonia e bellezza, ma sempre con l’intenzione.
C’è chi si addormenta ad assistere a una “forma” (sequenza di movimenti codificati) di Tai Chi; ma la bellezza e l’armonia percepite da chi resta sveglio non sono mai fini a se stesse. Ogni gesto ha un’intenzione, uno scopo reale. L’assenza di intenzione si traduce in un allenamento vuoto e inefficace. Ancora, la sostanza vince sull’apparenza.
8 – L’energia deve fluire.
Non è niente di psichedelico, questa percezione dell’energia che fluisce attraverso il corpo quando i movimenti sono corretti; ma la percezione esiste. Il flusso però non deve essere ostacolato da posizioni sbagliate, per esempio dei polsi o dei gomiti, o il gesto non arriverà a destinazione con la forza giusta. Più o meno come succede nella vita, dove non si può puntare dritti alla meta ignorando i nodi irrisolti, se non si vogliono sprecare tempo ed energie.

Mi fermo qui, senza pretendere di esaurire un argomento inesauribile.
A questo punto vi starete chiedendo come mai i nostri spazi verdi non siano affollati da schiere di praticanti. Se il Tai Chi fa bene al corpo e alla mente, insegna a vivere ed è alla portata di chiunque, qual è il problema?
No, il Tai Chi non piace a tutti. Non ha abbastanza ritmo, esce dalla logica del pompa-pompa da palestra, richiede dosi massicce di pazienza, e per di più non è affatto uno “sport” figo, se mi passate il termine. Niente musiche allegre e incalzanti, niente ragazze patite della dieta e dell’abbigliamento, niente bellocci muscolosi, niente vittorie e punteggi. Il Maestro può essere simpatico, ma non somiglia certo all’animatore di un villaggio vacanze. Il Tai Chi, insomma, non ha come motto “divertimento assicurato”. Però qualcuno inizia a praticarlo e non riesce più a staccarsene. Succede, con le belle esperienze di vita.

Articolo di Grazia Gironella